1. Cristianesimo e originalità

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    Introduzione


    Tra le tante critiche al cristianesimo che si possono leggere da qualche tempo a questa parte, ve n'è una che ha avuto un certo successo, ed è stata madre di tante vignette e immagini satiriche sul web. Sto parlando di Zeitgeist, il web film del 2007, il quale ha dato vita a tutta una serie di recriminazioni su quanto il cristianesimo avrebbe “rubato” alle altre religioni che lo hanno preceduto. Un bell'articolo su Cattonerd ha risposto in modo simpatico e accurato (nonostante sia un articolo non accademico) ad alcune affermazioni del film, e vi consiglio di leggerlo, tanto più per il fatto che è scritto in modo scorrevole e accattivante.
    A noi però non interessano in modo particolare le diverse similitudini che possono esserci o meno tra il cristianesimo e le altre religioni, piuttosto le tante concezioni errate che sottostanno a tali critiche. In questo articolo cercheremo di raggiungere i fondamenti per mostrarne l'inconsistenza, come anche cercheremo di mostrare il nucleo più importante del cristianesimo, al di là delle analogie con altre religioni.


    Originalità? Un assillo tutto nostro


    Al giorno d'oggi l'originalità ha un peso importante per quel che riguarda non solo le idee di un intellettuale, ma anche per quanto concerne le capacità di un'artista, o le ricerche di uno scenziato. Ma anche per quel che riguarda il vestiario: più una persona si mostra originale ed eccentrica, più ha possibilità di finire sui rotocalchi. Non è un caso che Matt Taylor (l'astrofisico che ha mandato la sonda "Rosetta" nello spazio) si sia fatto conoscere più per la sua maglietta che non per il suo (importante) impegno scientifico. Tutto ciò che è brillante, appariscente, seducente, fa parlare di sè, molto più che una scoperta scientifica. Sia che l'effetto sia positivo che negativo.
    Davanti a una religione antica come il cristianesimo, che inoltre si propone come istanza di verità, si vuole quindi una patente di originalità, e se non esibita, si giunge alla cassazione della religione stessa. Ma anche posto che il cristianesimo sia una scop...

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    Last Post by Sesbassar il 25 April 2015
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  2. Dolor contra Dolorem

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    "Se Lutero definiva la morte di Cristo mors contra mortem, allora il dolore di Dio è dolor contra dolorem. Se ora la mors contra mortem equivale alla risurrezione, il dolor contra dolorem è l'amore di Dio, l'amore che toglie il nostro dolore." (Kazoh Kitamori, Teologia del dolore di Dio, Queriniana, Brescia 1975, p. 34)


    Davanti al dolore innocente l'unica parola opportuna è il silenzio. Il silenzio del Cristo che spira sulla Croce, il silenzio portato dalla morte improvvisa di un caro, quell'incertezza che lascia senza parole, il silenzio nei luoghi mortiferi in cui l'umanità ha annientato la propria umanità.
    Davanti al dolore dell'umanità abbandonata quale parola potrebbe risollevarla, consolarla, quale mano potrebbe asciugarne le lacrime? Non abbiamo mai parole sufficientemente dignitose per parlare con chi soffre. E non rimane che il silenzio.

    Cosa abbiamo da dire noi cristiani sul dolore? Che non sia già un bolo masticato e ri-masticato, ormai insapore, privo di consistenza? Possiamo dire qualcosa che non sia scontato, insensibile, inopportuno?

    Penso di sì.

    Noi cristiani «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Il nostro Dio ha sofferto, e con la sua sofferenza ha dato un senso anche alla nostra. Il nostro Dio è morto, e morendo ha dato un senso anche alla nostra morte, per quanto insensata e inaccettabile essa sia.
    La Sua più grande dimostrazione di amore nei confronti dell'umanità non è stato il risparmiare la vita dei suoi persecutori e assassini, ma il rendersi uomo, vivere le nostre tribolazioni, lavorare per guadagnare il pane quotidiano, capire il valore della vita dei propri cari quando essi venivano a mancare. Il nostro Dio ha pianto.

    E ancora piange i suoi figli, ed essi piangono per Lui:

    «Gli uomini vanno a Dio nel suo bisogno
    Lo trovano povero, umiliato, senza tetto né pane
    Lo vedono soffocato dai peccati, dalla debolezza, dalla morte.
    I cristiani stanno accanto a Dio nella sua sofferenza»
    (Dietrich Bonhoeffer, Cristiani e pagani, da Resistenza e Resa)

    E non è solo poesia, è vera e propria teologia, se teologia significa ancora “intelligenza della fede”, cioè la comprensione razionale del rapporto che Dio ha con noi. Se Dio entra in contatto con noi e nel farlo soffre, allora questa sofferenza deve avere un corrispettivo concetto teologico. E normalmente se ne è parlato in termini di “kenosi”, cioè l'abbassamento di Dio dalla sua realtà divina impassibile, alla nostra realtà umana.

    Ma ancora non si è portato questo concetto alle sue conseguenze più estreme.

    Dio nella Croce si svuota di sé stesso, rinuncia a sé stesso, e questa rinuncia non è indolore, anzi, essa è ...

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    Last Post by Sesbassar il 19 Nov. 2013
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  3. Il senso profondo del Natale
    Nascita, morte e rinascita

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    Natale
    teologia della croce
    By Sesbassar il 29 Dec. 2011
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    Una lamentela che sempre più spesso si sente esprimere (da parte sia di credenti che di non credenti) è che il Natale è ormai una festa puramente consumistica e buonista: "a Natale bisogna essere più buoni", "cosa ti hanno regalato per Natale?" ecc. ecc. Effettivamente queste frasi sono le più gettonate durante il periodo natalizio.
    Ma è questo il vero senso del Natale? Vi è qualcosa di più? In che modo riscoprire questo "di più"?

    Il Natale è la festa della nascita di Gesù Cristo per i cristiani, ma per gettare una luce più vera su questa nascita può essere il caso di lasciarsi ispirare da due immagini:

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    In queste due immagini è evidente il significato della nascita di Gesù Cristo. Sia nella prima che nella seconda raffigurazione, Gesù bambino è rappresentato come un morto, avvolto nelle fasce come in un sudario, nella seconda sembra persino adagiato su un sarcofago.
    "Il Nuovo Testamento nella sua totalità tende alla croce e alla resurrezione (H. U. von Balthasar, Teologia dei tre giorni, Queriniana, 2011, p. 31), e ancora "chi dice incarnazione dice croce" (ibid., 34).
    Anche la nascita del Cristo è vista alla luce della morte di croce e della Resurrezione. Il bambino riceve in dono dai magi l'incenso (segno del suo sacerdozio), l'oro (segno della sua regalità) e la mirra, una resina usata per le imbalsamazioni (segno della sua futura morte) (Mt 2,1-11). A ragione Kähler poteva dire che gli evangeli sono "racconti della passione preceduti da un'ampia introduzione".

    Se il Natale è compreso seriamente come inizio della tragedia di Dio, della kenosi più totale, in cui è Dio stesso a farsi portatore delle sofferenze dell'umanità, per trasfigurarle nella Sua Resurrezione, allora si può iniziare a pensare ad un Natale non consumistico e tantomeno buonista. Più si separa, invece, la nascita del Cristo dal suo grido dalla Croce, più si ripiomberà nella immagine falsata che oggi si ha del Natale.
    Tutta la vita del Cristo è un lento cammino verso la Croce, dove lo aspetta il diavolo, con la sua tentazione più grande: la disobbedienza alla volontà del Padre. Nella croce Cristo risponde da uomo adulto alla tentazione, e sceglie l'obbedienza.
    Se festeggiamo la Sua nascita, infatti, è unicamente perché da questa nascita è re-iniziata la storia della salvezza, se festeggiamo il Gesù bambino è solo perché Gesù adulto ha obbedito fino alla morte di croce (Fil 2,8)...

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    Last Post by Sesbassar il 29 Dec. 2011
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  4. L'amore di Dio fondato sul dolore
    cosa ci dice la teologia del dolore di Dio oggi?

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    La teologia del dolore di Dio, di Kazoh Kitamori, è a mio avviso uno degli esempi più fervidi di una speculazione teologica che non è fine a sé stessa, ma che riesce a dire qualcosa sulle nostre vite.
    Una teologia capace di rivedere l'evento Gesù Cristo, fondandovi sopra l'intuizione più sottovalutata nel mondo teologico del '900: l'amore di Dio è fondato sul dolore.
    Questa intuizione permette diversi rilievi, teologici, etici, escatologici, che Kitamori accenna appena, ma che alla luce della situazione attuale ci permette di dire qualcosa se non di nuovo, almeno con un sostegno diverso e più forte (a mio avviso).

    Se l'amore di Dio è fondato sul dolore, allora il dolore stesso perde la sua statura puramente negativa: ciò che non è assunto non è redento, dicevano Origene, Tertulliano e Gregorio di Nazianzio. Dio assume in sé anche il dolore, e lo rende fondativo del suo amore.
    Non il dolore fisico però: abbiamo annotato la volta scorsa come la teologia del dolore di Dio non sia un patripassianismo. Il dolore è la caratteristica speculare all'amore infinito e totale di Dio: l'amore che va ogni oltre negatività, oltre ogni peccato, che supera ogni distanza, che riesce a vincere anche la barriera ultima, la morte.
    Se questo dolore intimo di Dio è alla radice del suo Amore, in quel dolore anche i nostri dolori vengono trasfigurati, come il suo dolore è trasfigurato nella Croce: il "brutto" del Crocefisso, emaciato, flagellato, insanguinato, che diventa "bello", poichè rivela l'Amore che Dio è.
    Ed allora l'etica conseguente è un'etica trasfigurata anch'essa, ove l'uomo-Adamo (l'uomo che rifiuta liberamente il progetto di Dio) e l'uomo-in-Cristo (l'uomo che fa suo il dolore di Dio) differiscono:
    dove l'uomo-Adamo vede una "cosa" senza più vita né speranze in stato vegetativo
    l'uomo-in-Cristo vede una persona bisognosa di cure, di affetto, di consolazione, di dialogo
    dove l'uomo-Adamo vede un'ammasso di cellule
    l'uomo-in-Cristo vede una persona che va aiutata a crescere, perché incapace di difendersi da sé
    dove l'uomo-Adamo vede un criminale immeritevole di pietà
    l'uomo-in-Cristo vede una persona che ha bisogno di una buona parola, del lieto annuncio
    dove l'uomo-Adamo vede una ragazza-madre che cresce un figlio senza un padre
    l'uomo-in-Cristo vede una Vergine
    dove l'uomo-Adamo non vede un futuro
    l'uomo-in-Cristo vede l'Amore che è più forte di qualsiasi cosa.

    Edited by Sesbassar - 14/2/2015, 16:03
    Last Post by Sesbassar il 25 Sep. 2011
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  5. Teologia del dolore di Dio
    Prospettive teologiche e filosofiche

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    Stimolato da un libro di Kazoh Kitamori (teologo giapponese riformato), pongo alcune riflessioni sui temi che ritengo più caldi e che ho riscontrato finora dalla lettura del suo libro più famoso "Teologia del dolore di Dio".

    1) Ira di Dio e Dio che è Amore

    Kitamori presenta il dolore di Dio come momento dell'antitesi tra "ira di Dio" e "amore di Dio". Poichè Dio ama il soggetto della Sua giustizia (l'uomo), non porta alle estreme conseguenze la Sua giustizia, ma la compie nell'amore per l'uomo con l'Incarnazione e la redenzione dell'uomo: "Il Dio che deve consegnare il peccatore alla morte combatte con il Dio che ama il peccatore. Il fatto che in entrambi i casi si tratti dello stesso Dio, costituisce appunto il dolore di Dio. Qui in Dio una volontà combatteva l'altra" (K. Kitamori, Teologia del dolore di Dio, Queriniana, Brescia 1975, p. 35), e ancora "Il Signore, che guarisce le nostre ferite inflitteci dall'ira di Dio, prende su di sé queste ferite causate dall'ira di Dio" (loc. cit..).

    A tal proposito devo fare alcuni appunti. Io non credo che esista un "ira" di Dio (secondo il significato di "ira" che riscontriamo nei nostri vocabolari). Certamente nell'A.T. si parla di un Dio che si adira con il suo popolo, e che lo condanna a pene più o meno gravi. Ma andrebbe anche esaminato il contesto storico in cui questo popolo accoglieva la Rivelazione progressiva di Dio (che si compirà completamente solo in Cristo). Un popolo che immaginava Dio come un re a capo di una corte (cfr. Gb 1,6), che deve per forza essere giusto nelle sue retribuzioni (e questo assioma della sapienza classica presente in modo massiccio in Proverbi, verrà messo in discussione proprio in Gb e Prv stesso).
    Il termine "ira" è un termine poderosamente antropomorfo, che va depurato per coglierne la vera essenza. A mio parere tale essenza viene più propriamente affermata con il termine "giustizia", il quale è meno equivocabile di "ira", e che riconduciamo a un comportamento ammirevole, e non deplorevole.
    Il Dio "irato" è il Dio giusto, non un Dio volubile e capriccioso, ma l'esatto contrario.
    Secondo appunto: dai rilievi di Kitamori, Dio appare come un'entità schizofrenica. Il Padre appare come un Dio giusto, Cristo come il Dio che ama. Io immagino che Kitamori non intendesse una distinzione così evidente di proprietà. Anche il Dio Padre ama, e anche il Dio Figlio è giusto. La giustizia è un attributo di tutto Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, non solo del Padre. E l'amore è l'essenza di Dio stante la prima lettera di Giovanni (1 Gv 4,16), quindi proprio la substantia che è comune alle tre Persone della SS. Trinità, per definizione...

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    Last Post by Sesbassar il 7 Aug. 2011
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