1. Dolor contra Dolorem

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    "Se Lutero definiva la morte di Cristo mors contra mortem, allora il dolore di Dio è dolor contra dolorem. Se ora la mors contra mortem equivale alla risurrezione, il dolor contra dolorem è l'amore di Dio, l'amore che toglie il nostro dolore." (Kazoh Kitamori, Teologia del dolore di Dio, Queriniana, Brescia 1975, p. 34)


    Davanti al dolore innocente l'unica parola opportuna è il silenzio. Il silenzio del Cristo che spira sulla Croce, il silenzio portato dalla morte improvvisa di un caro, quell'incertezza che lascia senza parole, il silenzio nei luoghi mortiferi in cui l'umanità ha annientato la propria umanità.
    Davanti al dolore dell'umanità abbandonata quale parola potrebbe risollevarla, consolarla, quale mano potrebbe asciugarne le lacrime? Non abbiamo mai parole sufficientemente dignitose per parlare con chi soffre. E non rimane che il silenzio.

    Cosa abbiamo da dire noi cristiani sul dolore? Che non sia già un bolo masticato e ri-masticato, ormai insapore, privo di consistenza? Possiamo dire qualcosa che non sia scontato, insensibile, inopportuno?

    Penso di sì.

    Noi cristiani «non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Il nostro Dio ha sofferto, e con la sua sofferenza ha dato un senso anche alla nostra. Il nostro Dio è morto, e morendo ha dato un senso anche alla nostra morte, per quanto insensata e inaccettabile essa sia.
    La Sua più grande dimostrazione di amore nei confronti dell'umanità non è stato il risparmiare la vita dei suoi persecutori e assassini, ma il rendersi uomo, vivere le nostre tribolazioni, lavorare per guadagnare il pane quotidiano, capire il valore della vita dei propri cari quando essi venivano a mancare. Il nostro Dio ha pianto.

    E ancora piange i suoi figli, ed essi piangono per Lui:

    «Gli uomini vanno a Dio nel suo bisogno
    Lo trovano povero, umiliato, senza tetto né pane
    Lo vedono soffocato dai peccati, dalla debolezza, dalla morte.
    I cristiani stanno accanto a Dio nella sua sofferenza»
    (Dietrich Bonhoeffer, Cristiani e pagani, da Resistenza e Resa)

    E non è solo poesia, è vera e propria teologia, se teologia significa ancora “intelligenza della fede”, cioè la comprensione razionale del rapporto che Dio ha con noi. Se Dio entra in contatto con noi e nel farlo soffre, allora questa sofferenza deve avere un corrispettivo concetto teologico. E normalmente se ne è parlato in termini di “kenosi”, cioè l'abbassamento di Dio dalla sua realtà divina impassibile, alla nostra realtà umana.

    Ma ancora non si è portato questo concetto alle sue conseguenze più estreme.

    Dio nella Croce si svuota di sé stesso, rinuncia a sé stesso, e questa rinuncia non è indolore, anzi, essa è ...

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    Last Post by Sesbassar il 19 Nov. 2013
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  2. L'amore di Dio fondato sul dolore
    cosa ci dice la teologia del dolore di Dio oggi?

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    La teologia del dolore di Dio, di Kazoh Kitamori, è a mio avviso uno degli esempi più fervidi di una speculazione teologica che non è fine a sé stessa, ma che riesce a dire qualcosa sulle nostre vite.
    Una teologia capace di rivedere l'evento Gesù Cristo, fondandovi sopra l'intuizione più sottovalutata nel mondo teologico del '900: l'amore di Dio è fondato sul dolore.
    Questa intuizione permette diversi rilievi, teologici, etici, escatologici, che Kitamori accenna appena, ma che alla luce della situazione attuale ci permette di dire qualcosa se non di nuovo, almeno con un sostegno diverso e più forte (a mio avviso).

    Se l'amore di Dio è fondato sul dolore, allora il dolore stesso perde la sua statura puramente negativa: ciò che non è assunto non è redento, dicevano Origene, Tertulliano e Gregorio di Nazianzio. Dio assume in sé anche il dolore, e lo rende fondativo del suo amore.
    Non il dolore fisico però: abbiamo annotato la volta scorsa come la teologia del dolore di Dio non sia un patripassianismo. Il dolore è la caratteristica speculare all'amore infinito e totale di Dio: l'amore che va ogni oltre negatività, oltre ogni peccato, che supera ogni distanza, che riesce a vincere anche la barriera ultima, la morte.
    Se questo dolore intimo di Dio è alla radice del suo Amore, in quel dolore anche i nostri dolori vengono trasfigurati, come il suo dolore è trasfigurato nella Croce: il "brutto" del Crocefisso, emaciato, flagellato, insanguinato, che diventa "bello", poichè rivela l'Amore che Dio è.
    Ed allora l'etica conseguente è un'etica trasfigurata anch'essa, ove l'uomo-Adamo (l'uomo che rifiuta liberamente il progetto di Dio) e l'uomo-in-Cristo (l'uomo che fa suo il dolore di Dio) differiscono:
    dove l'uomo-Adamo vede una "cosa" senza più vita né speranze in stato vegetativo
    l'uomo-in-Cristo vede una persona bisognosa di cure, di affetto, di consolazione, di dialogo
    dove l'uomo-Adamo vede un'ammasso di cellule
    l'uomo-in-Cristo vede una persona che va aiutata a crescere, perché incapace di difendersi da sé
    dove l'uomo-Adamo vede un criminale immeritevole di pietà
    l'uomo-in-Cristo vede una persona che ha bisogno di una buona parola, del lieto annuncio
    dove l'uomo-Adamo vede una ragazza-madre che cresce un figlio senza un padre
    l'uomo-in-Cristo vede una Vergine
    dove l'uomo-Adamo non vede un futuro
    l'uomo-in-Cristo vede l'Amore che è più forte di qualsiasi cosa.

    Edited by Sesbassar - 14/2/2015, 16:03
    Last Post by Sesbassar il 25 Sep. 2011
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  3. Teologia del dolore di Dio
    Prospettive teologiche e filosofiche

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    Stimolato da un libro di Kazoh Kitamori (teologo giapponese riformato), pongo alcune riflessioni sui temi che ritengo più caldi e che ho riscontrato finora dalla lettura del suo libro più famoso "Teologia del dolore di Dio".

    1) Ira di Dio e Dio che è Amore

    Kitamori presenta il dolore di Dio come momento dell'antitesi tra "ira di Dio" e "amore di Dio". Poichè Dio ama il soggetto della Sua giustizia (l'uomo), non porta alle estreme conseguenze la Sua giustizia, ma la compie nell'amore per l'uomo con l'Incarnazione e la redenzione dell'uomo: "Il Dio che deve consegnare il peccatore alla morte combatte con il Dio che ama il peccatore. Il fatto che in entrambi i casi si tratti dello stesso Dio, costituisce appunto il dolore di Dio. Qui in Dio una volontà combatteva l'altra" (K. Kitamori, Teologia del dolore di Dio, Queriniana, Brescia 1975, p. 35), e ancora "Il Signore, che guarisce le nostre ferite inflitteci dall'ira di Dio, prende su di sé queste ferite causate dall'ira di Dio" (loc. cit..).

    A tal proposito devo fare alcuni appunti. Io non credo che esista un "ira" di Dio (secondo il significato di "ira" che riscontriamo nei nostri vocabolari). Certamente nell'A.T. si parla di un Dio che si adira con il suo popolo, e che lo condanna a pene più o meno gravi. Ma andrebbe anche esaminato il contesto storico in cui questo popolo accoglieva la Rivelazione progressiva di Dio (che si compirà completamente solo in Cristo). Un popolo che immaginava Dio come un re a capo di una corte (cfr. Gb 1,6), che deve per forza essere giusto nelle sue retribuzioni (e questo assioma della sapienza classica presente in modo massiccio in Proverbi, verrà messo in discussione proprio in Gb e Prv stesso).
    Il termine "ira" è un termine poderosamente antropomorfo, che va depurato per coglierne la vera essenza. A mio parere tale essenza viene più propriamente affermata con il termine "giustizia", il quale è meno equivocabile di "ira", e che riconduciamo a un comportamento ammirevole, e non deplorevole.
    Il Dio "irato" è il Dio giusto, non un Dio volubile e capriccioso, ma l'esatto contrario.
    Secondo appunto: dai rilievi di Kitamori, Dio appare come un'entità schizofrenica. Il Padre appare come un Dio giusto, Cristo come il Dio che ama. Io immagino che Kitamori non intendesse una distinzione così evidente di proprietà. Anche il Dio Padre ama, e anche il Dio Figlio è giusto. La giustizia è un attributo di tutto Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, non solo del Padre. E l'amore è l'essenza di Dio stante la prima lettera di Giovanni (1 Gv 4,16), quindi proprio la substantia che è comune alle tre Persone della SS. Trinità, per definizione...

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    Last Post by Sesbassar il 7 Aug. 2011
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