1. Aut fides aut ratio?

    AvatarBy Sesbassar il 29 Jan. 2010
     
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    Il tema di oggi sarà la compatibilità tra fede (religiosa) e ragione.

    Il problema cruciale qui non è, come si potrebbe pensare di primo acchito, la natura della fede (men che meno i suoi contenuti), ma che cosa si intende per ragione.
    L'assenso alla fede (religiosa) è irrazionale? Si dà razionalità nel moto di fede?
    Vi sono diversi tipi di ragione (che ho già avuto modo di descrivere sommariamente). Una ragione scientifica, che di per sè si occupa di aspetti particolari del reale di certo non può indagare il moto di fede. Tale ragione è analitica, descrittiva, non si preoccupa dei sentimenti: descrive stati e cause causali ed efficenti della materia.
    Che ragione quindi?
    Per poter contemplare il fenomeno religioso la ragione usata deve prima purificarsi da un pregiudizio: che la fede religiosa sia di per sè irrazionale. Sembra assurdo, ma non lo è: infatti, un filosofo che parta da un presupposto indimostrato per dimostrarlo si sta comportando da filosofo?
    La razionalità del filosofo dev'essere abbastanza aperta per comprendere l'orizzonte di fede nel suo campo di riflessione: tale riflessione dev'essere però sgombra da pregiudizi razionalisici.
    La ragione a cui mi riferisco è una ragione aperta quindi, che riesce a cogliere l'ineludibile problema del fondamento di questa realtà, che riconosce di non poter sapere tutto, ma che ha fiducia nel fatto di poterlo fare (o almeno di tendere verso la conoscenza della verità ultima, e prima).
    Che fede però?
    Vi sono diversi livelli di fede: ve n'è una antropologica, che appartiene alla natura umana (ed è la fede che è adesione alla realtà, o la fede nel fatto che il panettiere non sta cercando di avvelenarci), e una religiosa (che attiene al rapporto dell'uomo con la dimensione altra dell'immateriale).
    La fede antropologica è anche quella che sperimentiamo nell'innamoramento: quali certezze vi sono che la persona amata ci corrisponda veramente? Non sta forse fingendo?
    Certo, vi sono dei motivi che ci spingono a credere alla persona amata: questi motivi però non sono razionali. Possono essere ragionevolmente fondati, ma non sono il frutto di calcoli razionali.
    La fede religiosa lavora in modo analogo: l'incontro con l'Altro, con la dimensione spirituale richiede il nostro assenso, che però non è immotivato, totalemente irrazionale. Anzi, il credente ha un vissuto, delle esperienze, che ha ricondotto all'incontro con una dimensione non materiale, che in sè stesse riescono a dare uno statuto di credibilità.
    Queste "ragioni" del cuore sono ragioni vere e proprie: il credente riconosce ciò che Dio ha fatto per lui (i motivi per crederGli), e a Lui rimette la sua fiducia, il suo assenso.
    Si può "sapere" che Dio esiste senza credere il Lui: è il caso di un filosofo che riconosca l'esistenza di un essere superiore in modo solamente razionale; tale "sapere" non fa di lui un credente: la fiducia che si dà a Dio è un moto a sè stante dal ragionamento, che può essere indagato dopo dalla ragione "aperta". La tradizione cattolica (dal CVI in poi) riconosce che il lume della ragione può portare alla conoscenza dell'esistenza di Dio: l'assenso a quel Dio però è un moto fiduciario.

    In conclusione: fede religiosa e ragione "aperta", come sono state presentate qui, non sono in contrasto; anzi, la fede può porre degli interessanti interrogativi, su cui la ragione può lavorare (nel caso del cristianesimo, ad esempio, la Trinità). La ragione è però imprescindibile: non si può eliminare la ragionevolezza nella propria religiosità, senza cadere nella superstizione. Per quanto arduo sia analizzare razionalmente i dati di fede (e per quanto impossibile sia razionalizarli del tutto), tale lavoro è imprescindibile per ogni fedele che voglia avere l'opportunità di vivere nel proprio secolo senza proporre una fede "fideista" inadeguata per i tempi che corrono.
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