Replying to Affondi spirituali: "...gementi e piangenti in questa valle di lacrime"

  • Create account

    • Nickname:
  • Enter your Post

    •              
           
       
      FFUpload  Huppy Pick colour  HTML Editor  Help
      .
    •      
       
      Clickable Smilies    Show All
      .
  • Clickable Smilies

    • :huh:^_^:o:;):P:D:lol::B)::rolleyes:-_-<_<:)
      :wub::angry::(:unsure::wacko::blink::ph34r::alienff::cry::sick::shifty::woot:
      <3:XD:*_*:];P:XP:(:=)X):D:>.<>_<
      =_=:|:?3_3:p:;_;^U^*^^*:=/::*::b::f:

  •   

Last 10 Posts [ In reverse order ]

  1. Posted 12/7/2015, 07:56

    Introduzione


    Volevo partire per la riflessione di oggi da un celebre verso del Salve Regina, antifona mariana medievale, spesso citato senza conoscerne la fonte... ... ...dov'è? ... ... ... E pensare che avrete usato questa espressione anche voi, e chissà quante volte! Alcuni, scommetto pochi, l'avranno già riconosciuta nel titolo! ;) Quest'espressione, "valle di lacrime", a mio parere molto suggestiva, indica la realtà terrena dell'uomo, una realtà di sofferenza. Eppure, e questo sarà il tema odierno, il mondo è solo una valle di lacrime? E, filosoficamente parlando, è ontologicamente (e quindi necessariamente) una valle di lacrime? Beh questo forse è un'interrogativo che dovremmo porci con attenzione, soprattutto seguendo la riflessione di due filosofi italiani contemporanei, Augusto Del Noce e Luigi Pareyson.

    La creazione come scelta: "vide che era cosa buona" (Gn 1,10)


    Per Del Noce l'approccio alla realtà del male si può suddividere in due filoni principali: quello di Anassimandro, secondo il quale il male è inscritto nella realtà stessa, è quindi necessario e conseguente alla sua finitezza e imperfezione; e quello biblico, secondo il quale il male è stato introdotto nella creazione dalla libertà delle creature (in particolare con il peccato di Adamo). Se nel primo la tendenza è quella della gnosi e del rifiuto nichilistico di essa, il secondo accoglie la rivelazione ebraico-cristiana per uscire dall'impasse razionalista (che però nasconde in essa una scelta e una "fede" pre-razionale), che a ben vedere non supera il problema del male, ma semplicemente lo elude. Pareyson si inserisce, con la sua ermeneutica del cristianesimo, nel secondo filone.
    Partendo dal presupposto che la realtà originaria è libertà, che l'essere è libertà, e che Dio è questa libertà originaria, per Pareyson "Dio è l'essere che ha voluto essere, e quindi è vittoria sul nulla, e ne contiene la possibilità; è scelta del bene, e quindi è vittoria sul male, e ne contiene la possibilità. Come volontà di essere e scelta del bene, cioè come positività originaria, come visto in questa sua positività, Dio contiene dunque in sé, come possibilità ab aeterno vinte e superate, il nulla e il male" (Ontologia della libertà, p. 176). Ogni scelta di Dio quindi sarà indirizzata al bene, compresa la scelta di creare: "ogni atto divino continuerà sempre a essere una scelta del bene e una vittoria sul male, non per una necessità di natura, ma per intrinseca libertà, in quanto con la sua scelta del bene la libertà originaria s'è confermata e consolidata come libertà positiva" (ibid.). Ma e il male e il dolore da dove spuntano quindi? Se "il nulla è stato vinto per l'eternità; il male è una possibilità giocata una volta per tutte e per sempre perduta, perché risultata perdente in quell'atto immane e primigenio ch'è l'originazione divina" (p. 178), perché sono presenti nel mondo? Per Pareyson "il fatto che per esistere Dio abbia dovuto sconfiggere il nulla e sgominare il male, cioè mettere da parte il negativo, lascia in lui una traccia, sia pure inefficace e inoperante, di negatività, quasi che fosse rimasto qualcosa di non risolto e di ancora pendente" (p. 179), ed entrano nel mondo con il peccato originale: "con la sua caduta l'uomo ha ridestato nella positività divina quella negatività che, vinta e soggiogata, vi perdurava dormiente, è riuscito a riattivare il nulla e a riaccendere il male rendendoli operosi e attuali" (p. 180).
    Dio non è il male però, il quale vinto nell'eternità dalla scelta primigenia per il bene, può prendere forma nel mondo solo come azione umana: "il rischio di satanizzare Dio, inerente alla concezione della presenza del male in lui, è evitato dall'idea che il male in Dio è soltanto la possibilità del male, la quale può esser tradotta in realtà solo per opera dell'uomo, al momento della sua caduta" (p. 182).
    Se seguiamo quindi la riflessione di Pareyson possiamo dire che esiste una via mediana, chiaramente ispirata più alla tradizione biblica in questo caso, tra i due filoni di cui parlava Del Noce. Secondo questa via mediana, la creazione è un bene, ma in essa il male può diventare realtà (a differenza che in Dio), perché in essa è presente l'unico essere vivente che può risvegliare l'idea del male, della ribellione, del rifiuto della scelta per il bene operata da Dio, e cioè l'uomo. La realtà è quindi un bene, finito e in divenire, sul quale incombe un'ombra, e presenta questa possibilità da prima che l'uomo potesse scegliere: ontologicamente parlando in essa c'è la potenzialità del male, anche se non il male di per sè.


    Conclusione?


    "Ok, tutto questo va bene per il male morale, ma i disastri ambientali Devid? Eh? EH???"? Anche le disgrazie ambientali non sono un male di per sè, infatti se non ci colpiscono non ci interessano minimamente se non per curiosità personale, ma sono considerate un male quando influenzano la nostra vita. Sono un male relativo, non perché siano innocue, ma perché hanno bisogno di essere poste in relazione a noi per essere considerate tali. Escludendo quelle causate dalla temerarietà e dall'incuria dell'uomo (e.g. le frane dovute al disboscamento selvaggio), la colpa di esse non è riconducibile all'uomo. Ciò che la dottrina del peccato originale vuole spiegare è il senso teologico di esse: è per colpa del peccato originale se le concepiamo come punizione di Dio. Il come i disastri ambientali capitino ci pensano le scienze a spiegarlo. Capire il senso che hanno però è al di fuori dalla potenzialità delle scienze. Quello che la riflessione cristiana vuole dire all'uomo è che le disgrazie ambientali non sono punizioni nei confronti dell'uomo, nè sono indice di una negatività del reale. Quella è la visione dell'uomo non riconciliato con Dio, ancora vittima del peccato di Adamo (ed è preoccupante quando a propugnare idee del genere sono dei sedicenti cattolici). In questo senso quindi anche il male naturale deriva dal peccato originale: non come causa efficiente, l'eruzione del vulcano che distrusse Pompei non aveva certo cause umane, ma come causa dell'interpretazione teologica della vicenda.
    Certo, la creazione è finita, caduca, diveniente, e "geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rm 8,22). E proprio questo è il senso teologico degli eventi naturali: la creazione è per forza di cose imperfetta, giacché perfetto è solo Dio, ed è quindi in continuo divenire. Questo divenire, che ci coinvolge e a volte può avere un'influenza negativa su di noi, è voluto da Dio, è stato scelto da Dio come cosa buona, nonostante la possibilità in esso del male e del dolore. Il bene originario (che per Pareyson ci viene indicato proprio dal male e dal dolore), è ciò che è stato voluto da Dio per noi.

    Questa riflessione lascia pendente qualche domanda però: perché desideriamo una realtà perfetta? Ne può esistere una? Tale perfezione è raggiungibile con il progresso mondano? Se sì, come raggiungerlo? Se no, qual è l'alternativa? hmm




    Bibliografia:

    - Giuseppe Riconda, Bene/Male, il Mulino, 2011
    - Luigi Pareyson, Ontologia della libertà, Einaudi, 2000

Review the complete topic (launches new window)