Replying to Affondi spirituali: "Teologia naturale e invenzione dell'Anticristo"

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  1. Posted 10/7/2015, 09:22

    Introduzione


    Come sempre non so se sono il solo, ma a me capita spesso di imbattermi in discussioni di carattere teologico/filosofico. Forse perché, abbastanza ovviamente, ci si circonda di persone con i propri interessi. Fatto sta che una delle discussioni più gettonate sia il rifiuto della filosofia da parte di alcuni protestanti. Come vi dirò successivamente, non penso sia un rifiuto che vale per tutti i protestanti (anche perché dire "protestanti" significa tutto e nulla, date le infinite denominazioni che si rifanno alla Riforma di Lutero, Calvino ecc.ecc.). Però vale per alcuni protestanti, soprattutto i cosiddetti fondamentalisti.

    Petitio principii e il senso della teologia naturale


    Vedete cari amici, il motivo per cui nel cattolicesimo (ma non solo) si dà tanto valore alla teologia naturale, non è di ordine ideologico. Nè alla Chiesa Cattolica, nè a qualsiasi altro difensore dei classici argomenti sull'esistenza di Dio (ce ne sono diversi infatti che cattolici non sono), interessa affermare che la ragione umana può da sola giungere a scoprire l'esistenza di Dio, tanto per aumentare l'autostima dei filosofi, o per speculare in modo fine a sè stesso.
    Alla voce petitio principii di Wikipedia come esempio classico di questa particolare fallacia viene utilizzato infatti proprio qualcosa che ci riguarda da vicino, e dal quale la teologia naturale vuole porre al sicuro: "i testi religiosi XYZ sono veri in quanto rivelati dalla divinità, che sappiamo esistere in quanto ce lo dicono in modo veritiero i testi religiosi XYZ".
    Senza l'ausilio della ragione filosofica la credibilità della religione risiede unicamente nell'adesione fideistica ai testi sacri. Il passo verso il fondamentalismo sentimentalista è breve, e spesso varcato. Non è un caso infatti che oltreoceano diversi filosofi cristiani non cattolici si siano specializzati nel campo di ricerca della teologia naturale: e.g. William Lane Craig, Arvin Plantinga e Richard Swinburne, per citare i più famosi e influenti, sono tutti di estrazione acattolica (il primo è un evangelical, il secondo è calvinista, il terzo è ortodosso).

    La classica avversione del prostantesimo fondamentalista (non di tutti i protestantesimi, attenzione!) nei confronti della filosofia è basata sull'accezione più estrema del principio luterano del "Sola Scriptura", e fondato su passi spesso tratti dalle lettere di Paolo. Locus classicus è Rm 1,21: "[i pagani] sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa". Quello che spesso si omette, a causa del proprio vizio ideologico è il versetto esattamente precedente: "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità".
    Ci sono anche altri passi estrapolati per far dire a Paolo quello che non dice, ma non posso scriverli tutti. Quando vi imbattete in uno qualsiasi di questi "amanti della Scrittura" sappiate solo che il pattern è sempre lo stesso: citare il versetto al di fuori dal suo contesto, spesso omettendo parti che invaliderebbero la propria visione ideologicamente contraria alla ricerca filosofica, e senza tenere conto della natura dello scritto, degli artifici retorici usati da Paolo, dal contesto della lettera stessa (vizi classici di chi ha una certa idea dell'ispirazione delle Scritture, e di conseguenza le legge letteralisticamente). Ma soprattutto ignorare tutti i versetti della Scrittura che dicono il contrario.
    Basta leggere le lettere di Paolo per davvero, per capire che la sua critica alla filosofia è circostanziata e particolare, e non universale. Se infatti per principio le perfezioni di Dio "possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute", il fallimento di alcuni pagani nel riconoscerle è contingente, storicamente determinato. Paolo, ovviamente, non era uno sprovveduto, e non si sarebbe mai sognato di negare il valore della ragione umana. Quello che attacca è la superbia di chi aveva conosciuto e si credeva sapiente (e.g. i pagani dell'Aeropago che lo derisero in At 17,32). Certo, la ragione non va assolutizzata, altrimenti si venererebbe davvero la creatura al posto del Creatore, ma è questo che fa il cristiano impegnato nella teologia naturale? Nemmeno per un po'.

    Ciò che la ragione filosofica impegnata in questi problemi non può pretendere, è di comprendere pienamente la natura di Dio, e il modo più corretto di intendere la ricerca a riguardo è quella di comprendere il comprensibile, senza avere l'arroganza di poter esaurire la conoscenza di Dio solo con la ragione. A ben vedere infatti, se tutto ciò che fosse conoscibile di Dio si potesse conoscerlo solo con la ragione, la ragione sarebbe a buon titolo Dio. E invece la ragione umana fa parte del mondo transeunte come il suo possessore, e difficilmente si qualifica come Dio. S. Tommaso D'Aquino parlava non a caso di "viae" per conoscere Dio, e questo concetto richiama un percorso, che non si esaurisce negli argomenti, ma che rimanda ad altro. La ricerca filosofica su Dio se è onesta richiama sempre ad altro, conoscibile solo con la relazione personale con Egli.

    L'invito di Moltmann (Il Dio Crocefisso, 280-1) a ricongiungere il trattato De Deo Uno e De Deo Trino, seppur interessante, è impossibile, non tanto perché in linea di principio non si possa fare, ma perché il primo trattato è (come anch'egli nota!) di carattere apologetico. Si tratta di distinguere ciò che è conoscibile mediante la sola ragione, e ciò che è frutto dell'esperienza di fede, non per piacere nel farlo, ma per dialogare ed esporre la fede più compiutamente a chi non la condivide. Quello che egli vuole fare è possibile solo in un contesto sociale in cui la fede è condivisa (non è un caso che la prima divisione dei trattati sia relativa al Medio Evo, periodo di grandi cambiamenti e contatti con il resto della cultura mediterranea non cristiana). La suddivisione dei trattati non è il ritratto di una fenomenologia religiosa: lo scopo della teologia naturale non è quello di convertire o di preparare alla conoscenza del Dio Trino, ma quello di dare un sostegno razionale, per escludere che la propria esperienza religiosa di conversione e conoscenza personale di Dio, non sia solo una pia illusione.

    Nel secolo ormai scorso Barth descriveva l'analogia entis (principio su cui si basa la teologia naturale) "invenzione dell'Anticristo" (dalla prefazione al I volume della monumentale Kirchlike Dogmatik). Questo atteggiamento demonizzante permane all'interno del protestantesimo più radicale (del quale non so se Barth stesso avrebbe rispetto). Eppure che Dio sia Logos non lo dicono solo i filosofi cattolici, ma un certo Giovanni, che i protestanti dovrebbero conoscere bene.


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