Replying to L'idolatria del rischio

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  1. Posted 1/5/2015, 15:27

    giocatori


    "Dopo averlo quindi crocifisso,
    si spartirono le sue vesti tirandole a sorte.
    "
    (Mt 27,35)


    Introduzione


    Recentemente ho avuto modo di dialogare a proposito della liceità del gioco d'azzardo, per un cristiano, con gli amici del forum di whitemetal.it. Da quella che era partita come una discussione interessante, un tarlo si è insinuato nella mente, e mi ha spinto a rifletterci un po' più a fondo, a cercare eventuali pronunciamenti magisteriali, insomma a dare una risposta più articolata, seria, documentata.
    Mi sono trovato a scrivere un po' di appunti, un po' troppi per una risposta a un thread, quindi ho deciso di scrivere qui, in modo da avere lo spazio necessario per esprimermi, per evitare wall of text per gli utenti che seguivano la discussione su WhiteMetal, e per condividere con quelli che non l'hanno letta delle opinioni in merito.
    Il gioco d'azzardo è un fenomeno in rapida crescita in questo periodo in Italia (e non solo), dallo scoppiare della crisi economica nel 2008 il numero di sale slot/casinò è in ascesa costante (e preoccupante), come lo sono le opzioni di gioco statalmente gestito, e seppur il gioco d'azzardo sia antico quanto l'uomo (come la dipendenza da esso), rimane un'attività dal rischio difficile da valutare, ma dal potenziale distruttivo come poche altre.
    In quanto fenomeno complesso, darne uno sguardo solo psicologico, o solo spirituale, sarebbe inopportuno: si può osservare infatti il problema da più punti di vista, e trarre profitto dalle suggestioni delle diverse discipline. Inizialmente quindi ne vedremo le ragioni psicologiche, mentre in seguito faremo delle considerazioni spirituali.


    1) Tentiamo la dea bendata o è lei che tenta noi?


    Una delle domande più interessanti, e cruciali, di questo argomento è "perché alcuni giocatori possono giocare per anni senza diventare dipendenti, mentre ad altri ci 'cascano' subito?". Cosa spinge una persona a diventare un giocatore compulsivo?
    Innanzitutto ci sono diversi tipi di giocatore, che gli studi più recenti, correlati al rischio della salute pubblica che il gioco d'azzardo comporta, classificano per livelli: al 1° livello appartengono coloro i quali giocano per motivi ricreativi, nel 2° livello invece rientrano i giocatori che incominciano a soffrire di effetti negativi conseguenti il rapporto col gioco, al 3° livello giungono i giocatori che soddisfano i criteri per una diagnosi positiva da giocatori patologici, mentre il 4° e ultimo livello riguarda i giocatori che cercano aiuto per uscire dalla loro situazione (a prescindere dal livello di gravità in cui versano).
    Uno studio italiano a riguardo intitolato "Gambling" (e completamente visionabile online) ha messo in luce diversi aspetti della fenomenologia del giocatore: da delle alterazioni neuro-biologiche, che modificano il sistema di gratificazione e il controllo degli impulsi, al fattore ambientale, come ad esempio delle relazioni familiari problematiche o una forte pubblicizzazione del gioco, mentre un altro fattore di rischio ancora sarebbero le dipendenze da sostanze psicotrope.
    Il giocatore tipo appartiene al segmento giovanile della popolazione e "in particolare, [...] si sono dimostrati particolarmente a rischio i soggetti con temperamento novelty seeking, con un'evoluzione del gioco d'azzardo che da iniziale 'gioco sociale e socializzante'" - il 1° livello di cui sopra - "diventa 'gioco individuale' e quindi 'gioco isolato' nel momento in cui si sviluppa una dipendenza patologica" (Gambling, p. 23). La mancanza di legami familiari solidi, l'abuso di sostanze stupefacenti, il preesistente contatto con il gioco d'azzardo, e una società accomodante, incanalerebbero il giocatore poi verso questa evoluzione negativa. A scanso di equivoci, ovviamente il problema non è solo relativo alla popolazione di giovane età (seppur sia la fascia più a rischio).
    Un gigante della letteratura del '900 (e non solo), giocatore compulsivo a sua volta, Fedor Dostoevskij, immortalò autobiograficamente il profilo classico di un giocatore compulsivo, ne "Il giocatore": "Lei vegeta, lei non soltanto ha rinunciato ai suoi interessi personali e a quelli sociali, non soltanto ai suoi doveri di uomo e di cittadino, non soltanto ai suoi amici (eppure ne aveva), non soltanto ha rinunciato a qualsiasi fine nella vita, eccettuato quello di vincere, ma perfino ai suoi ricordi. Io ricordo di averla conosciuta in un momento forte e ardente della sua vita, ma sono convinto che lei adesso ha dimenticato tutte le sue migliori inclinazioni di allora; i suoi sogni di adesso, anche quelli più urgenti ed essenziali, ormai non vanno oltre al pair e impair, rouge, noir, la dozzina di mezzo e così via; ne sono assolutamente convinto!" (mister Astley ad Aleksej Ivanovič; cap. XVII).
    Il giocatore predisposto alla dipendenza (rimando alla tabella delle pp. 25-27 per il dettaglio di tutti i fattori di rischio), a differenza del giocatore "normale" viene incentivato oltre misura dalle vittorie iniziali, mentre le sconfitte lo lasciano insensibile, e continuano invece a motivarlo nella spirale discendente del gioco, attraverso delle fasi che passeranno anche per il possibile coinvolgimento in attività illegali (per fare un esempio classico, il prestito ad usura) e il rifiuto di aiuto, nonché l'aumento di pensieri suicidi (ibid. p. 31).


    2) Quello che i proprietari di sale slot non vogliono farvi sapere!1!1!1!!


    Se non avete ancora visto questa inchiesta delle Iene, vi consiglio di vederla. Non che sia un grande appassionato di questo stile comunicativo, però dà una buona idea di quello che accade nei luoghi in cui si gioca. Perché l'ambiente di gioco non è secondario, ed è anzi una dei fattori che concorrono a rovinare il giocatore che vi rimane invischiato.
    Se infatti l'abuso di alcol è un fattore di rischio, il fatto che in una sala slot (o al casinò) lo offrano gratuitamente, non è un caso. L'assenza di riferimenti al mondo esterno, di finestre, di luce solare, persino di orologi, e la contemporanea presenza ossessivamente martellante di jingle ripetitivi e alienanti, di alcolici gratuiti (caratteristica che i casinò hanno in comune con le sale slot), e di luci soffuse e intorpidenti, creano il perfetto ambiente per stimolare la persona predisposta a rimanere e possibilmente giocare quanto più riesce.
    Un altro aspetto da non sottovalutare è la struttura stessa di alcuni giochi d'azzardo, in special modo roulette, dadi e slot machine. Questo tipo di giochi ha una probabilità realistica di vittoria rispetto ai soldi investiti (expected value, detta d'ora in poi EV) per il singolo solitamente molto bassa (o altrimenti poco redditizia e quindi poco stimolante), che attua un meccanismo psicologico studiato dal filone comportamentista della psicologia (da Burrhus Skinner in primis), e cioè quello che viene chiamato rinforzo intermittente. Un rinforzo è una qualsiasi azione che miri a stimolare e confermare un comportamento, e può essere positivo se incentiviamo il comportamento voluto con un elemento positivo (ad es. diamo un biscotto al cane che si è messo a cuccia dopo il nostro ordine), o negativo se l'elemento a rinforzo del comportamento è qualcosa di negativo che viene evitato (ad es. cedere di fronte ai capricci di un bambino che non vuole la verdura; eliminando la verdura il capriccio del bambino viene "rinforzato"). I rinforzi intermittenti non appartengono del tutto a una delle due categorie precedenti, ma possono essere entrambi, infatti l'intermittenza del rinforzo riguarda la consequenzialità logica che viene posta tra il comportamento e il rinforzo: se premio ogni volta il comportamento allora il rinforzo positivo/negativo sarà considerato continuo, se lo premio solo talvoltà sarà considerato, per l'appunto, intermittente.
    Controintuitivamente, non sono i rinforzi "continui" a essere i più efficaci: gli studi di Skinner, e degli altri sperimentatori, rilevarono invece la maggiore efficacia dei rinforzi intermittenti. Esattamente il tipo di rinforzo che le slot machine danno: per ogni vittoria (rinforzo) ci sono una serie di sconfitte (attesa), che culmineranno in una vittoria e così via dicendo, in una spirale catastrofica di denaro buttato (poiché per forza di cose le macchine sono costruite in modo che l'EV sia negativo).
    Ora, per quanto il comportamentismo non sia un'impostazione esente da problematiche, la teoria e pratica dei rinforzi è stata studiata ad abundantiam ed è (per il nostro tema) tragicamente vera. La triste prova non risiede nei testi di psicologia clinica, nè nei laboratori in cui vengono effettuati i test, ma nelle sale da gioco dove i nostri concittadini gettano il proprio presente, e purtroppo, a volte, anche il loro futuro.


    3) Il gioco d'azzardo: peccato, struttura di peccato, idolo?


    Cosa ha da dire la teologia su questo tema? Non è in fondo già stato detto tutto l'essenziale con lo smascheramento dei fattori e meccanismi psicologici del gioco d'azzardo? Io non ne sarei così convinto. Certo, al giorno d'oggi la categoria del "peccato" è sovrastata da quella, moralmente meno impegnativa, dell'"errore", soprattutto perché il peccato è un azione relativa a Dio, un Dio ingombrante per molti contemporanei, che non vedono l'ora di liberarsene. Eppure, talvolta ciò che si caccia dalla porta rientra dalla finestra, e così è per le domande esistenziali di fondo a cui il rapporto con (e la conoscenza di) Dio vorrebbero rispondere.
    Procediamo con ordine, con una dichiarazione lapidaria. La Chiesa Cattolica non condanna il gioco d'azzardo. Lo dice a chiare lettere nel suo Catechismo, al numero 2413: "I giochi d'azzardo (gioco delle carte, ecc.) o le scommesse non sono in se stessi contrari alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù."
    Affinché il gioco d'azzardo sia considerabile un peccato, per la Chiesa ovviamente, si devono soddisfare dei criteri: deve essere diventato una schiavitù così grande da impedire alla persona di mantenere sè stessa, e i propri cari. In sostanza: la persona deve aver sostituito Dio con il gioco nel suo cuore. In altre parole ancora? Il giocatore dev'essere vittima dell'idolatria.
    La tradizione spirituale cristiana, muovendo i passi dalla tradizione ebraica, parlando degli antagonisti principali di Dio non parla semplicemente di diavoli, demoni o qualsivoglia gerarchia demoniaca, bensì parla di idoli. Contrariamente a ciò che solitamente si pensa, un idolo, dal punto di vista religioso, non è solamente una statuina che scioccamente riteniamo un dio potente, ma è qualcosa di molto più complesso. Davanti alle difficoltà che la vita presenta, l'uomo chiede "garanzia per la propria vita a molte cose, attività o relazioni: ogni persona in effetti, scoprendo di non essere autosufficiente e quindi di non avere in sé la sorgente della vita che cerca, si guarda attorno e trova molte soluzioni" (Decidersi, G. Grandi, p. 31), difatti "può accadere che qualcuno stringa un legame forte con una persona [...], oppure ci si può legare ad un oggetto, ad una situazione (affettiva, famigliare, lavorativa...), ad una risorsa - il denaro, il potere - o ad un ideale in sé - la perfetta forma fisica, l'estetica - o persino ad una causa - l'assistenza ai più deboli, la promozione dei diritti [...], ma la questione è se davvero questi beni, queste attività, situazioni o compagnie a cui ci si è legati siano in grado di garantire ciò che la persona cerca: vita, felicità, relazione autentica" (ibid.).
    Volenti o nolenti siamo tutti in costante ricerca di un legame che possa renderci felici, ma anche se per noi oggi il confronto ideologico è "tra fede in Dio e ateismo, tra credenti e non credenti [...], dal punto di vista antropologico il confronto è tra il Dio che dà vita e gli idoli che la tolgono, cioè tra diverse fedi in diversi partner" (ibid., 33). Il gioco d'azzardo problematico è per il giocatore un idolo, qualcosa che promette vita, felicità e relazioni (ricordate le vetrine ricolme di donne procaci, vincenti e sorridenti delle sale slot?), ma che in realtà non può mantenere. E la conseguenza dell'idolatria, di ogni idolatria, non è soltanto l'essere distolti dal vero Dio, ma anche, lentamente e inesorabilmente, dalle persone che abbiamo più care (il ritratto di Dostoevskij ne è un emblema, tanto più perchè sapeva molto bene ciò di cui parlava).
    Il gioco d'azzardo, nella teologia cristiana, non si configura come un peccato di per sè, anche se può diventarlo nel caso diventi un idolo. Ciò che è peccaminoso non è ipso facto il gioco, bensì la struttura che viene imbastita per poterlo propagare, per far sì che più persone ne diventino legate. E' tutta l'impalcatura di menzogne ad essere un inganno, tanto più feroce perché approfitta delle debolezze dei membri fragili della società. Questo tipo di situazione viene tradizionalmente chiamata "struttura di peccato": "I peccati sono all'origine di situazioni sociali e di istituzioni contrarie alla bontà divina. Le «strutture di peccato» sono espressione ed effetto dei peccati personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male. In un senso analogico esse costituiscono un «peccato sociale»" (CCC 1869). Per quel che riguarda il gioco d'azzardo il peccato che costituisce questa costruzione nefasta non è il gioco, ma il desiderio iniquo di denaro, fino ad arrivare al punto di architettare ogni stratagemma per appropriarsene, nel più totale disinteresse delle conseguenze per gli altri.


    Conclusione: proibire o regolamentare?


    Dopo tutto questo pesantissimo discorso, la mia stessa coscienza mi pone un'obiezione: "Devid, ma che male vuoi che sia giocare alla lotteria di paese?". Certo, possiamo riconoscere una gamma molto varia di diverse gradazioni di moralità, dove ci sono giochi più o meno rischiosi, e se da un estremo ci sono le lotterie e tombole paesane (che dalle nostre parti si concludono spesso in ingiurie ai "forestieri" che le vincono puntualmente), dall'altro estremo possiamo porvi il gioco in casinò e sale slot (che non sono altro che casinò in miniatura). Eppure la differenza tra questi estremi è cruciale: se da una parte abbiamo un gioco dallo scopo ricreativo/sociale, dall'altro abbiamo la negazione stessa della socialità.
    Il gioco d'azzardo ha poi come fine di fondo l'ottenere dei soldi "facili", saltando a piè pari lavoro, studio, fatica. Anche se non è un male di per sè, non è di certo un'attività edificante: che messaggio morale dà l'affidare i propri soldi (simbolo del lavoro e del tempo spesi per guadagnarli!) a un evento in cui le probabilità di vittoria sono completamente o quasi aleatorie, e in cui tutto ciò che siamo, abbiamo costruito, e vogliamo, tutta la nostra persona e le nostre relazioni insomma, non conta nulla? Qual è la linea di demarcazione netta e distinta che distingue il giocatore della tombola di paese, e il giocatore compulsivo da casinò? Perché, se si danno molteplici gradi di distinzione tra di essi, quale sarà quello cruciale, che si erge a spartiacque?
    Per ora il nostro Paese sta portando avanti una linea mediana regolamentando il possibile, con alcuni giochi d'azzardo gestiti direttamente dallo Stato (e spesso ribattezzati sarcasticamente "tassa sulla stupidità"). Io non ho soluzioni facili da proporre (cioè, ce le avrei ma contemplerebbero lanciafiamme e ruspe, che mi dicono non essere troppo democratiche). Quello che mi chiedo però è se è accettabile che la collettività permetta che i propri membri più deboli vengano a contatto giornaliero, persino attraverso pubblicità giornaliere sulle tv di stato!, con attività dall'alto rischio di generare dipendenza. Mi chiedo se non sia possibile invece proteggere il più possibile le persone con l'educazione, il sostegno alle famiglie in difficoltà, e anche (se necessario) qualche intervento legislativo.
    Non sono d'accordo con chi dice "se non ci fosse il gioco d'azzardo troverebbero altro". Questa posizione cinica serve unicamente a scaricare la propria coscienza, la consapevolezza di aver abbandonato l'altro al suo destino. Se è vero che non è pensabile il fare da balia a ognuno, possiamo comunque cercare di costruire una società le cui leggi siano "educative", e non si limitino a proibire, ma che indirizzino, secondo un filo rosso condiviso dalla comunità, verso un progetto di giustizia e equità sociale maggiori. A questo riguardo dubito che il cinico disincanto sia una posizione costruttiva. Una famiglia stabile e una cultura personale solida sarebbero già dei buoni muri difensivi (contro le dipendenze in generale in realtà), e non sono in fondo delle priorità per uno Stato che voglia prosperare e non limitarsi a sopravvivere?
    Non è un compito che si può risolvere in un articolo ovviamente, come non è nemmeno questione di una legislatura quinquennale. Come accennato prima, il dibattito odierno è polarizzato spesso tra soluzioni "laiche" e soluzioni "religiose", delle opzioni più restrittive sarebbero subito bollate come "bigotte" o come "ingerenze del Vaticano!!!1!11!". Ciò che auspico io è un superamento di queste posizioni. Senza tale superamento, e senza una nuova sintesi sociale, problemi come quelli sollevati dal gioco d'azzardo compulsivo rimarranno insoluti, regolamentati "a spanne" di volta in volta, col rischio che siano gestiti in modo contraddittorio, a seconda degli umori delle forze politiche al potere al momento.


    Le fonti su cui mi sono documentato sono:

    - Processi cognitivi e personalità. Introduzione alla psicologia, G. Pravettoni - M. Miglioretti, FrancoAngeli, Milano 2011.
    - Gambling. Gioco d'azzardo problematico e patologico: inquadramento generale, meccanismi fisio-patologici, vulnerabilità, evidenze scientifiche per la prevenzione, cura e riabilitazione, G. Serpelloni (a cura di), Cierre Grafiche, Verona 2013.
    - Pathological gambling. A clinical guide to treatment, J. E. Grant – M. N. Potenza, American Psychiatric Publishing, Arlington 2008.
    - Decidersi, G. Grandi, Meudon, Portogruaro 2009.
    - Catechismo della Chiesa Cattolica (abbrv. CCC).


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