Replying to Cristianesimo e originalità

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  1. Posted 25/4/2015, 20:25

    chi-e-gesu-colored



    Introduzione


    Tra le tante critiche al cristianesimo che si possono leggere da qualche tempo a questa parte, ve n'è una che ha avuto un certo successo, ed è stata madre di tante vignette e immagini satiriche sul web. Sto parlando di Zeitgeist, il web film del 2007, il quale ha dato vita a tutta una serie di recriminazioni su quanto il cristianesimo avrebbe “rubato” alle altre religioni che lo hanno preceduto. Un bell'articolo su Cattonerd ha risposto in modo simpatico e accurato (nonostante sia un articolo non accademico) ad alcune affermazioni del film, e vi consiglio di leggerlo, tanto più per il fatto che è scritto in modo scorrevole e accattivante.
    A noi però non interessano in modo particolare le diverse similitudini che possono esserci o meno tra il cristianesimo e le altre religioni, piuttosto le tante concezioni errate che sottostanno a tali critiche. In questo articolo cercheremo di raggiungere i fondamenti per mostrarne l'inconsistenza, come anche cercheremo di mostrare il nucleo più importante del cristianesimo, al di là delle analogie con altre religioni.


    Originalità? Un assillo tutto nostro


    Al giorno d'oggi l'originalità ha un peso importante per quel che riguarda non solo le idee di un intellettuale, ma anche per quanto concerne le capacità di un'artista, o le ricerche di uno scenziato. Ma anche per quel che riguarda il vestiario: più una persona si mostra originale ed eccentrica, più ha possibilità di finire sui rotocalchi. Non è un caso che Matt Taylor (l'astrofisico che ha mandato la sonda "Rosetta" nello spazio) si sia fatto conoscere più per la sua maglietta che non per il suo (importante) impegno scientifico. Tutto ciò che è brillante, appariscente, seducente, fa parlare di sè, molto più che una scoperta scientifica. Sia che l'effetto sia positivo che negativo.
    Davanti a una religione antica come il cristianesimo, che inoltre si propone come istanza di verità, si vuole quindi una patente di originalità, e se non esibita, si giunge alla cassazione della religione stessa. Ma anche posto che il cristianesimo sia una scopiazzatura di altri miti e religioni (e non lo è), questo cosa ha da dire sulla verità delle affermazioni dei cristiani? Cosa ha da dire la maglietta di Matt Taylor sulle sue competenze come scienziato?
    Anche tralasciando il fatto che tra i diversi personaggi delle diverse religioni (egizia, greca, mitraica...) Gesù di Nazaret è l'unico personaggio storico (nell'ambito della ricerca storica accademica più nessuno propende per l'interpretazione mitica), le supposte somiglianze nel racconto delle sue vicende, rispetto agli altri dei e fondatori di religioni, non dicono nulla sulla veridicità dell'evento "Gesù Cristo" in sè.
    Dirò di più: fino a poco più di duecento anni fa, dell'originalità non interessava niente a nessuno (interessante a proposito questo articolo). Quello dell'originalità è un mito adolescenziale, di chi vorrebbe distinguersi a tutti i costi "dalle masse", il più delle volte ricadendo semplicemente in un'altra massa a sua volta. Con l'avvento dell'era industriale, e l'importanza del brevetto, questa mentalità si è estesa anche a campi in cui potrebbe non aver alcun senso. Ad esempio nel campo dell'ermeneutica della religione cristiana. Il cristianesimo non è "originale" (secondo il nostro standard ovviamente)? Quindi è falso. In realtà questo ragionamento fallace non attacca il merito delle affermazioni del cristianesimo, limitandosi semplicemente a elencarne i tratti simili alle altre religioni che lo hanno preceduto (e spesso elencando semplicemente un mucchio di menzogne).


    Incarnazione di Dio: evento unico?


    Una della accuse che vengono rivolte è quella che in fondo anche in altre religioni sono presenti delle divinità che si incarnano. Che risulti a me, ma a tal proposito sarei interessato a ricevere fonti sicure (no, il sito di Ciccio Vattelapesca non lo è), l'unica divinità che si incarni, almeno nel senso cristiano del termine, è Vishnù, il quale si incarna in molteplici forme, anche animali, tra cui quella di Krishna, eroe del poema Mahabarata, in rilievo in particolare nella sezione conosciuta come Bhagavadgita. Dico "nel senso cristiano del termine", perché non ha senso comparare incarnazioni che vengono intese in modo completamente diverso (come quelle di Zeus per fare un esempio, le quali sembrano più possessioni che incarnazioni). L'incarnazione in senso cristiano implica una rivelazione del Dio incarnato, e una distinzione nell'unità tra umanità e divinità: nelle incarnazioni di Vishnù questa distinzione è implicita, evidente dal fatto che ce ne siano diverse, ma c'è anche un'unità in ogni incarnazione. Il cristianesimo dal canto suo ha speso diversi concili ecumenici per evidenziare la divino-umanità di Gesù, cioè la compresenza delle due nature al 100%: dal concilio di Nicea nel 325 d.C., in cui si condannò l'arianesimo (cioè la dottrina che rifiutava la divinità del Figlio come consustanziale a quella del Padre), fino al concilio di Costantinopoli III nel 680-681 d.C. (in cui si condannò il monotelismo, cioè la presenza in Cristo della sola volontà divina).
    Comunque, anche omettendo ogni riferimento alla storicità della figura di Krishna, o alla datazione del testo, e non sono certo problemi da nulla, a chiunque sarebbero evidenti le dissomiglianze tra le due figure, senza bisogno di fare chissà che ricerca. Tanto più che le due culture (semitica e indiana) non avevano contatti particolari, tali da giustificare una contaminazione nei credi religiosi. Starebbe a chi afferma la dipendenza del cristianesimo da elementi estranei alla tradizione giudaica il dimostrare come e in che modo il cristianesimo ha attinto dalle altre religioni. Affermarne semplicemente la similitudine non è sufficiente, o meglio, è una posizione fortemente partigiana, che non considera la significanza delle discordanze.
    D'altronde però è vero che l'idea dell'incarnazione di Dio non l'ha "inventata" di sana pianta il cristianesimo. Come concetto era già presente, anche se in forma embrionale, nel giudaismo prima di Cristo, in uno scritto che oggi noi definiamo apocrifo. Nel Libro dei Giubilei, al capitolo I,26, Dio dice a Mosè: "E tu scrivi, per te, tutto ciò che io oggi ti dico su questo monte: le cose di prima, del dopo che verrà, in tutta la suddivisione del tempo, la quale è nella legge e a testimonianza, nei settenni dei giubilei, fino all'eternità, fin quando io discenderò e dimorerò con loro, nei secoli dei secoli".
    Questo breve passo mostra la consapevolezza, per l'autore dei Giubilei, che l'unico messia possibile sia Dio stesso: l'unica attesa valida è quella per Dio stesso. Giubilei rileva la necessità, per ristorare l'equilibrio della Creazione, di un intervento ad opera di Dio stesso.
    A mio modesto parere, è molto più probabile che i primi cristiani abbiano compreso l'evento Gesù Cristo alla luce di questo concetto di incarnazione, presente nella loro tradizione religiosa e spirituale, che non da concetti e mitologie estranee. E ovviamente, il fatto che l'autore di Giubilei esprima un'idea di incarnazione simile, non significa che Dio Figlio non si sia incarnato in Gesù (come non significa il contrario).


    Gesù Figlio di Dio o Figlio dell'Uomo?


    Altro cavallo di battaglia di innumerevoli discussioni da osteria è il fatto che Gesù non si sia mai definito Figlio di Dio. Certo, a Gesù nei vangeli non viene mai attribuita quel sintagma, eppure Gesù attribuisce a sè delle caratteristiche, che sono, se non equivalenti, pure più estreme. E queste si inseriscono pertinentemente nell'indagine circa il nocciolo fondamentale del cristianesimo.
    Nel Vangelo di Giovanni (Gv 8,54 ss) si hanno le espressioni più chiare di questo: "Rispose Gesù: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!", e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò". Gli dissero allora i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?". Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono". Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio."
    Che Gesù alluda alla propria natura divina è abbastanza evidente se non dalle sue parole (che in realtà sono decisamente esplicite poiché citano direttamente l'“Io Sono” di Es 3,14), almeno dalla reazione dei suoi interlocutori: a differenza dei propugnatori della tesi "Gesù non è Dio perché non ha mai detto di esserlo", loro sanno perfettamente che l'affermazione soprastante vuole significare proprio il contrario. Gesù dice di essere non solo il Messia, ma il Dio incarnato, e sempre nel medesimo vangelo si definisce come "la via, la verità, la vita" (Gv 14,6).
    Altro evento che mostra la consapevolezza di Gesù della propria natura è la cosiddetta confessione di Pietro (Mt 16,13-17): "Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". Risposero: "Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". Disse loro: "Voi chi dite che io sia?". Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli."
    In questo passo è vero che non è Gesù stesso a definirsi Figlio di Dio, lui preferisce il termine Figlio dell'uomo (mutuato dal libro del profeta Daniele), eppure afferma che non è stata la dimensione terrena a spingere Pietro a riconoscere la natura divina di Gesù, bensì il Padre stesso a rivelarglielo. Questa rivelazione ha dei punti problematici, tanto più che nello stesso passo qualche versetto più avanti, Gesù ammonisce Pietro stesso per aver frainteso il senso tragico dell'incarnazione stessa.
    Cioè, in altri termini, Gesù rimprovera a Pietro di non aver capito esattamente ciò di cui parliamo, il vero nodo originale del cristianesimo: non un'incarnazione qualsiasi, e nemmeno un'incarnazione gloriosa che preveda la distruzione del nemico, ma l'incarnazione di Dio Figlio nel Gesù crocefisso.


    La novità cristiana


    Ovviamente gli agiografi non avevano, come ho scritto poc'anzi, l'assillo di essere originali. Ripresero diversi elementi a loro noti, tra cui probabilmente anche gli antichi libri giudaici che oggi sono considerati apocrifi (come il Libro dei Giubilei, o il Libro di Enoch), e forse anche alcuni elementi delle mitologie pagane. Certamente non con l'intento di copiare, ma perché tali elementi erano la base, le categorie a loro familiari, per esprimere l'evento di cui erano stati testimoni.
    Non si può certo chiedere a degli agiografi di duemila anni fa di inventare un lessico dal nulla, per un mito, quello dell'originalità, che appartiene solo a noi. Ma anzi, gli evangelisti, e non solo loro, avevano la preoccupazione opposta: mostrare come l'evento pasquale fosse la concretizzazione di attese e profezie del popolo giudaico (Mt 5,17-18 è il topos classico a conferma di ciò). Attese e profezie antiche di secoli.
    Gli scrittori cristiani, onde spiegare ai propri contemporanei ciò che avevano vissuto, hanno attinto da diverse categorie di nicchia, non centrali, o (per varie ragioni) poco esplorate nel mondo giudaico, come i carmi del Servo del libro di Isaia, il libro di Daniele, oppure i libri dei Maccabei e di Sapienza (che per gli ebrei non sono canonici in quanto non sono scritti in ebraico), o il sopra-citato libro dei Giubilei. Tuttavia gli scrittori cristiani hanno gettato una nuova luce su quegli scritti, e una base per riflessioni che si discostano crucialmente dal giudaismo (anche a quel magmatico fenomeno plurale che ha preceduto il rabbinismo).
    Il servo sofferente di YHWH esposto in Isaia, e il libro di Giobbe, mostrano una nuova dimensione alla sofferenza, è vero, eppure non è una sofferenza attribuita a Dio, ma solo a suoi rappresentanti in terra. Quando la scrittura ebraica parla della sofferenza di Dio parla di una sofferenza emotiva (Ger 31,20), che non è relativa all'essenza di Dio, ma che casomai prefigura questa dimensione ontologica, che solo nel cristianesimo viene esplicitata del tutto.
    La novità cristiana risiede nella rivelazione di un Dio che è pronto al sacrificio totale di sé per il bene delle proprie creature, un Dio che si palesa come Uno, nella sostanza della divinità immanente sé stessa, ma anche Trino, nelle persone che interagiscono con l'umanità, e come palcoscenico per la propria manifestazione non sceglie i cieli alti e irraggiungibili, o vaticini incomprensibili, ma nemmeno delle dottrine esoteriche, bensì accetta di essere consegnato alle sue creature, libere di rifiutarlo e metterlo in Croce. Il palcoscenico è il Golgota, dove non ci sarà un lieto fine.
    In primo luogo perché non sarà la fine.

    L'aspetto originale del cristianesimo è il dolor contra dolorem, il dolore e il peccato dell'uomo vinti dall'amore di Dio, testimoniato fino alla morte di croce da Dio stesso nella persona del Figlio. Non c'è altra rivelazione divina in cui Dio si incarna, cioè diventa uomo e storia, per soffrire e morire, e, facendolo, dare una nuova dimensione al dolore umano, proprio in quanto condiviso dal Dio eterno, incorruttibile, impassibile. Il Dio cristiano non salva l'uomo dall'esterno, ma condivide lo stesso suo cammino, lo guida e lo accompagna: non rimane nei cieli ad attendere il giorno del giudizio per castigare i malvagi, bensì si mette in gioco anch'Egli, per giustificare i peccatori e riportarli alla comunione con Sè.


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